LA TOSSICITA' DA FERRO: LA FIBROSI
Diversi sono i meccanismi attraverso cui l'eccesso di ferro
svolge il suo ruolo lesivo. Il fegato è l'organo principalmente coinvolto nelle
malattie da sovraccarico di ferro, ma altri tessuti possono essere danneggiati,
particolarmente il pancreas, il cuore, le ghiandole endocrine e le
articolazioni. La maggior parte delle conoscenze che riguardano gli effetti
dannosi del sovraccarico di ferro derivano dagli studi condotti sul fegato.
Nell'emocromatosi ereditaria, l'accumulo di ferro conduce nel corso di diversi
anni allo sviluppo della fibrosi ed infine della cirrosi epatica. Lo stesso
accade anche nelle forme di sovraccarico di ferro secondario alla talassemia e
ad altre forme di anemia, congenite o acquisite, ed a quello che compare nelle
popolazioni Africane o Afroamericane.
La fibrosi epatica può essere
considerata come quel processo a cui va comunemente incontro il fegato in
seguito ad un qualsiasi insulto cronico (per esempio, l'infezione da virus B o
C, l'abuso di bevande alcoliche, il sovraccarico di ferro o di rame, ecc.). Questi agenti provocano un danno a
carico della cellula epatica fino a determinarne la morte, a cui fa seguito il
deposito, nel fegato, di eccessivo materiale di tipo cicatriziale (il collagene).
In generale questo fenomeno può essere considerato come una risposta difensiva
di tipo riparativo, così come accade, per esempio, quando ci procuriamo una
ferita. In questo caso infatti i tessuti reagiscono aumentando la produzione di collagene che porta alla riparazione della ferita con o senza la
formazione della cicatrice.
Anche
nel fegato questo processo riparativo porta al completo ripristino della normale
architettura e funzione epatica, ma quando la causa primaria del danno persiste,
lo stimolo alla produzione di collagene si perpetua cronicamente e il materiale
fibrotico si accumula (fibrosi) portando
pian piano, attraverso fasi successive e progressive, al sovvertimento
dell'architettura del fegato e ad una alterazione della sua funzione (cirrosi).
La fibrosi è quindi un processo dinamico, di passaggio, tra il danno cronico a
carico del fegato e la cirrosi.
Come
abbiamo detto, tutti gli agenti in grado di danneggiare cronicamente la cellula
epatica inducono lo sviluppo di fibrosi. Generalizzando si può dire che esistono dei fattori comuni
che, attivati dai diversi agenti lesivi, portano allo sviluppo della fibrosi. Uno di questi fattori, sicuramente uno dei più importanti,
è il cosiddetto stress ossidativo.
L'ossigeno è infatti essenziale per la vita, ma talvolta è tossico. Dobbiamo
pensare alla vita di una cellula come risultato di un'intensa attività
metabolica. Come un'industria, la cellula produce sostanze essenziali per la sua
sopravvivenza e per la sua funzione e consuma energia. Questo processo di
produzione ha degli scarti che devono essere eliminati in una forma non tossica
altrimenti essi portano alla morte precoce della cellula (pensiamo
all'inquinamento). Tra questi prodotti di scarto vi sono delle piccole
particelle contenenti ossigeno (radicali liberi), molto reattive e che, se non
vengono eliminate, danneggiano in modo irreversibile quegli organelli cellulari
che, come piccole catene di montaggio, mantengono alta ed efficiente la
produzione della nostra industria-cellula.
Le cellule contengono degli agenti
protettivi, anti-ossidanti, che
controbilanciano l'effetto pro-ossidante
dei radicali liberi dell'ossigeno. Lo stress
ossidativo si verifica quando
all'interno della cellula predominano gli agenti pro-ossidanti. I bersagli di questi agenti sono le membrane che
rivestono le cellule e gli organelli cellulari che vengono danneggiati e
distrutti provocando direttamente la sofferenza e la morte della cellula, e gli
acidi nucleici, provocando lo sviluppo di alterazioni del patrimonio genetico
cellulare (mutazioni) che, a lungo andare, possono essere causa dello sviluppo
di tumori.
Il ferro e il rame hanno
un ruolo primario nella produzione delle specie di radicali liberi dell'ossigeno
più reattive a partire da quelle meno reattive e facilitano quindi lo stress
ossidativo. Per dare pur in modo assai vago e impreciso, un'idea del
fenomeno, si può pensare alla ruggine che si forma sulle superfici di oggetti e materiali di ferro esposti
all'aria umida o all'acqua e a quella sostanza verdastra che ricopre i materiali
di rame in condizioni analoghe. Entrambi sono processi di ossidazione che
avvengono per una reazione tra il metallo e l'ossigeno e determinano la
corrosione dell'oggetto in questione.
Come già detto, allo stress ossidativo si
oppongono gli antiossidanti presenti,
in abbondanza, nelle cellule; tra questi, alcune vitamine, come la vitamina C ed
E. Alcuni metalli, come il selenio e lo zinco aiutano gli agenti antiossidanti
nella loro azione.
Ricapitolando, la lesione della cellula epatica,
qualunque ne sia la causa primaria, scatena la produzione dei radicali liberi
che sono coinvolti nello sviluppo della fibrosi vuoi perché determinano la morte della cellula (in tal caso la fibrosi
va intesa come il risultato di un processo riparativo eccessivo, come già detto
in precedenza), vuoi perché attivano, attraverso meccanismi complessi, alcune
cellule particolari presenti nel fegato, che sono effettrici dirette o mediatori
chiave del processo di fibrosi.
Come abbiamo visto, il ferro è un potente catalizzatore dello stress ossidativo, esso può quindi indurre lo sviluppo della fibrosi:
a) direttamente;
b)
indirettamente, attraverso la morte cellulare ferro-indotta (sideronecrosi);
c) con un'azione congiunta insieme ad altri agenti epatotossici, come
alcool e infezione da virus epatitici.
E' interessante osservare che in
quest'ultima condizione, è sufficiente anche una piccola quantità di ferro per
provocare una rapida accelerazione della fibrosi.
Ciò dipende dal fatto che in presenza di un altro agente epatotossico, esso sia
un virus epatitico o l'alcool, l'azione pro-ossidante del ferro può propagare ed amplificare l'effetto tossico iniziale o
contribuire alla sua tossicità. Ciò potrebbe spiegare perché nelle epatiti
virali croniche da virus B o C, la presenza di un sovraccarico di ferro, anche
di moderata entità sembra favorire lo sviluppo della fibrosi e della cirrosi epatica e
perché la rimozione del ferro, mediante salassoterapia, possa svolgere un effetto benefico
riducendo i valori delle transaminasi che sono una misura indiretta del danno
epatocellulare.
In una fase iniziale la fibrosi è reversibile, se la causa primaria del danno epatico viene rimossa. A
conferma di ciò alcuni studi dimostrano che la rimozione del ferro porta alla
riduzione del grado di fibrosi nei pazienti con marcato sovraccarico indipendentemente dalla causa che
lo ha determinato. E' ancora da definire invece se la rimozione del ferro nei
pazienti con patologie associate come le epatiti croniche virali possa
migliorare la prognosi di questi pazienti riducendo il rischio di sviluppo della
cirrosi epatica.
dr. Alberto Piperno
[Articolo pubblicato il 30-06-98]